Di agenzie letterarie, consulenze editoriali e altri fatti miei

Perché hai chiuso l’agenzia letteraria?
Me lo chiedono spesso.
Eppure funzionava bene, ho avuto grandi soddisfazioni, i “miei” scrittori hanno vinto premi prestigiosi, hanno pubblicato con editori di tutto rispetto, avevo pure una lista di attesa perché non riuscivo a occuparmi di tutti.
E allora?
Beh, i motivi sono diversi.
Alcuni legati a certe persone che bazzicano nell’ambiente editoriale: gente che se la tira, venditori di fumo e disonesti, costruttori di cattedrali nel deserto, e altri simpatici soggetti. Inoltre se sei onesto, lavori seriamente, la tua finalità non è derubare gli aspiranti scrittori ma aiutarli a pubblicare, e sei una piccola realtà, non ci sbarchi il lunario con questa professione. E io avevo due figli da mantenere.
Ma infine, e soprattutto – visto che per fortuna ho sempre continuato a occuparmi anche di comunicazione – c’erano alcuni aspetti del mio lavoro che non amavo. Di cui mi occupavo perché era necessario, ma se avessi potuto evitarli sarei stata meglio. La contrattualistica. Le trattative con gli editori. Tutta la parte meno creativa e più commerciale o burocratica.
Però amavo molto scoprire libri e autori interessanti, occuparmi dell’editing, aiutare lo scrittore a tirare fuori il meglio di sé, a scegliere che percorso seguire verso la pubblicazione, lavorare con qualcuno che aveva una semplice idea oppure un manoscritto da “ripulire” e trasformarli in un buon libro. Insomma vedere nascere un progetto editoriale e accompagnarlo anche dopo la pubblicazione, comunicarlo, promuoverlo.
Così ho deciso di continuare a occuparmi solo delle cose che amo in modo trasversale. Da qui sono nate le consulenze editoriali (continuo a occuparmi ancora di qualche ex cliente dell’agenzia), i percorsi di book coaching, definizione da me coniata per indicare una mentorship che accompagna le persone dall’idea o da una prima stesura al libro completo e oltre, e il mio amato editing che ora esercito in modo molto selettivo scegliendo di lavorare solo ai libri che mi conquistano.
Il bello del lavoro autonomo – bisogna trovarci qualcosa di bello tra i tanti svantaggi – è abbattere schemi e crearne di nuovi. Potere scegliere di dedicarsi esclusivamente (o quasi) a progetti che appassionano, dimenticarsi per cinque minuti delle difficoltà e sentirsi liberi.