Comunicazione, passioni che ritornano e sabbia

A gennaio mi è successa una cosa molto bella. Bella e impegnativa. Sono tornata all’insegnamento: italiano, storia e geografia alla scuola primaria.
Era un po’ di tempo che giravo attorno a questo mio vecchio amore, che non ho abbandonato mai completamente, facendo ripetizioni, insegnando a corsi e workshop. Ma a scuola era da tempo che non lavoravo più. A dire il vero a fine 2019 avevo preparato tutti i documenti per rientrare, poi è arrivato il Covid, è iniziata la Dad e ho lasciato perdere. È proprio vero, come recita la canzone, che “certi amori fanno giri immensi e poi ritornano”. Con gli esseri umani non mi è mai capitato, ma con altri eventi della vita sì.
Così a gennaio ho congelato il mio lavoro precedente, a parte alcuni clienti, e mi sono dedicata corpo e anima ai “miei” bambini.
Questo mi ha dato modo di vedere i social con un certo distacco e da una prospettiva diversa (social che ho largamente disertato per mancanza di tempo) ed elaborare meglio alcune riflessioni sulle quali già rimuginavo da tempo.
Ho cominciato a occuparmi di comunicazione negli anni’90 quando non esisteva Internet e tanto meno i social. In quel periodo erano le parole il fulcro di tutto, come venivano usate, se riuscivano a essere la chiave giusta per arrivare a una determinata fetta di pubblico.
La comunicazione era creatività, trovare il linguaggio giusto per arrivare al cuore e all’immaginazione di quel preciso interlocutore.
Poi via via che la rete e i social sono cresciuti, la comunicazione si è adattata agli strumenti che la digitalizzazione sempre di più offriva. Ma occorreva ugualmente mettere in campo creatività ed empatia.
Fino a qualche anno fa era ancora stimolante comunicare. Poi è diventato solo questione di follower, statistiche, insight, sponsorizzate, SEO… un lavoro da broker o da analista. Le parole hanno perso importanza surclassate dalle immagini, dai video, con caption brevissime perché tanto più di due righe non le legge nessuno. Dove un algoritmo non premia i contenuti di qualità ma quelli che scatenano le risse nei commenti, dove vediamo 100 profili tutti uguali con post simili replicati all’infinito perché la maggior parte degli utenti copia pedissequamente i “template” narrativi consigliati dai guru. Beh, questo tipo di comunicazione non mi piace e non mi interessa. È arido marketing senza poesia e creatività e spesso – diciamolo – talmente concentrato sulla “confezione” che nemmeno ci si accorge degli errori di ortografia e grammatica.
Al punto in cui sono arrivata oggi devo scegliere cosa lasciare da parte della mia professione da freelance e cosa preservare.
Così ho preso una decisione. Conservo le parole, i libri, la scrittura, il mio lavoro di editor e consulente editoriale, la creazione di contenuti, gli articoli di approfondimento. Le strategie di comunicazione digitale me le lascio alle spalle. E senza particolare rimpianto.
Ovviamente continuerò ad usare i social perché senza sei come un fantasma, ma lo farò solo per me stessa, non elaborerò più strategie per i clienti.
Le parole sono pietre, diceva Carlo Levi. Per me sono soprattutto pietre preziose da lucidare e fare risplendere con un editing ben fatto o un testo ben scritto. La bagarre dei social è sabbia che con un soffio vola via.
(Photo by Kunj Parekh on Unsplash)